lunedì 31 ottobre 2011

Tacconelle con zucca, olive kalamata e provolone

Quando ho visto il post di Patty  l’altro giorno sono rimasta sorpresa per la combinazione, pochi giorni prima avevo preparato questo piatto che era in lista di pubblicazione. Entrambe abbiamo scelto di unire la zucca alle olive kalamata, ma soprattutto abbiamo scelto un formato di pasta della stessa forma romboidale che ha un nome diverso in base alla regione, in Abruzzo e in Molise le chiamano tacconelle. L’unica cosa che differisce è il terzo ingrediente io ho pensato ad un formaggio dal sapore piccante che ben si abbina alla dolcezza della zucca ed al caratteristico sapore delle olive kalamata.






Ingredienti:
400 g di tacconelle
300 g di zucca torta o zucca pepona
100 g di olive kalamata
50 g di provolone piccante
1 spicchio di aglio
olio extra vergine di oliva
sale
pepe nero


Preparazione:
In un’ampia padella si fa imbiondire l’aglio in olio extra vergine di oliva, si aggiunge la zucca tagliata a dadini, si sala, si pepa e si lascia cuocere a fuoco moderato per 10 minuti circa, poi si aggiungono le olive kalamata denocciolate e si fanno insaporire con la zucca per due minuti. Una volta cotta la pasta si scola un po’ e si versa nella padella con la zucca e le olive kalamata si aggiunge un po’ di provolone piccante a scaglie, un filo di olio extravergine di oliva e si fa saltare per un minuto. S’impiattano le tacconnelle e si aggiunge un filo di olio extra vergine di oliva e il provolone a scaglie.








venerdì 28 ottobre 2011

Peperoni ciliegia ripieni di tonno cotti in padella

L’altra settimana ho trovato al mercato questi peperoni ciliegia gustosissimi, hanno un sapore non eccessivamente piccante (almeno per me). Li adoro, soprattutto, come sono soliti fare in molte regioni del centro sud, vale a dire riempiti con tonno, alici e capperi e conservati sott’olio. Avevo voglia di mangiarli subito, quindi li ho riempiti in maniera simile e li ho cotti in padella come faccio in genere i friggitelli o i peperoni rossi dolci tipologia corno di toro
Per chi ama il sapore piccante, sono uno stuzzichino o un contorno molto piacevole.








Ingredienti:
300 kg di  peperoni ciliegia
160 g di tonno sott’olio di oliva
50 g di olive verdi denocciolate
5 filetti di alici sott’olio
1 cucchiaio di capperi sotto sale
1 spicchio di aglio
1 ciuffo di prezzemolo
1 cucchiaio di pangrattato
olio extra vergine di oliva
sale


Preparazione:
Si lavano bene i peperoni, si pratica un taglio nel mezzo, si tolgono i semi.
In una ciotola si mette il tonno sgocciolato dall’olio, i filetti di alici, i capperi dissalati, le olive verdi tagliate a rondelle, spicchio d’aglio tagliato a pezzetti, il prezzemolo tritato e il pangrattato. Si amalgama il tutto e si riempiono i peperoni con il composto ottenuto.
Una volta riempiti, si mettono in una padella antiaderente con un filo di olio extra vergine di oliva e si cuociono coperti per 30 minuti circa a fuoco moderato.












Invece questa è la pianta (superstite) che ho nel balcone della cucina.


I primi di Ottobre


La settimana scorsa


 E’ una tipologia di peperoncino ciliegina che ho acquistato al caratteristico mercatino di Vieste l’anno scorso. Grazie al pollice verde di mio fratello con i semi siamo per essere precisi  è riuscito a  ricavare questa piantina. 
Ogni mattina, una delle prime cose che faccio è uscire in balcone per guardare il tempo e sentire la temperatura; da quando ho questo piantina di peperoncino ciliegina la sosta è d’obbligo per osservare i suoi piccoli e deliziosi frutti.


Con questo post partecipo al simpatico Candy di Cappuccino&Cornetto Oltre il vetro







mercoledì 26 ottobre 2011

Fagioli cannellini con cotenna di guanciale di Bassiano

Un piatto classico adatto per questo periodo. Invece della classica cotenna, ho utilizzato quella stagionata del guanciale di Bassiano un meraviglioso prodotto, n’avevo parlato qui, acquistato da D.o.l. (Di Origine Laziale).






Ingredienti:
350 g di fagioli cannellini secchi
200 g di cotenna di Guanciale Gran Riserva di Bassiano
100 g di passata di pomodoro
4 fette di pane tipologia a piacere
1 spicchio di aglio
peperoncino quantità a piacere
olio extra vergine di oliva
sale


Preparazione:
La sera prima si mettano a bagno i fagioli cannellini in acqua fredda. Il giorno seguente si trasferiscono in una pentola,  meglio di terracotta, ricoperti di acqua fredda e si lasciano cuocere a fuoco basso per almeno 2 ore. Una volta cotti si lasciano risposare per 30 minuti circa, si scolano e si lascia da parte l’acqua di cottura.
Nel frattempo si pulisce la cotenna del guanciale da eventuali setole passandola sulla fiamma, poi si immerge in acqua bollente per 10 minuti circa, si scola e si taglia a listarelle.
In una casseruola si fa imbiondire l’aglio tagliato a pezzettini con l’olio extravergine di oliva e il peperoncino, si aggiungono le listarelle di cotenna di guanciale, si unisce la passata di pomodoro si lascia cuocere per 10-15 minuti. Si aggiungono i fagioli con due mestoli della loro acqua di cottura, si sala si fa cuocere per 30 minuti circa. S’impiatta su delle fette di pane a piacere fresco o bruscato, si aggiunge un filo di olio extra vergine di oliva e a piacere peperoncino fresco.











lunedì 24 ottobre 2011

Crostatine con confettura di pere coscia e cannella

Come ho già scritto per me la crostata è il dolce che associo di più al calore della casa; è il dolce che faceva più spesso mia madre. La crostata (in versioni mini) è stata anche - è il caso di dire - il mio esordio in cucina, quando mi regalarono il mitico Dolce forno. Forse lo ricorderà bene chi è vicino o ha passato gli anta; era tra i giocattoli più desiderati della metà degli anni ‘70 inizi anni ‘80. Ricordo ancora oggi l’emozione che provai, quando lo vidi; era di un bellissimo e acceso color arancio, corredato di utensili: teglie, ciotola, misurino, mattarello tutto ovviamente in formato mini. Il giorno stesso con mia madre preparai (pasticciai) la frolla che sistemammo in quelle piccole teglie, non ricordo esattamente se utilizzammo la confettura (marmellata come ancora si chiamava) di albicocca o di pesca che erano le più utilizzate in casa. L’infornai nella fessura laterale dove due lampadine producevano il calore necessario per cuocerle, sul panello da una sorta di finestrina controllavo la cottura. A fine cottura la gioia superava la “bontà” della mia prima crostatina.
Sul filo dei dolci ricordi propongo oggi queste piccole crostatine con la confettura di pere coscia e cannella che ho fatto quest’estate con le pere coscia provenienti dall’albero della mia amica.






Ingredienti per 10 crostatine circa di 6 cm di diametro
200 g di farina 00
100 g di burro freddo
80 g di zucchero semolato
2 uova (1 tuorlo e 1 intero)
una grattata di scorza di limone possibilmente biologico
un pizzico di sale



Preparazione:
In una ciotola si mette la farina setacciata il burro appena tolto dal frigo tagliato a pezzetti e un pizzico di sale, si lavora il tutto rapidamente con le punte della dita fino ad ottenere un composto dall'aspetto sabbioso. Si unisce il tuorlo, l’uovo intero, lo zucchero e la scorza di limone, si lavora  velocemente il tutto sempre con la punta della dita, fino ad ottenere un impasto compatto liscio ed abbastanza elastico. Si forma una panetto si avvolge nella pellicola trasparente e si mette in frigo per mezz'ora.
Trascorso il tempo si prende la pasta frolla si stende leggermente con un mattarello e si divide in 10 parti. S'imburrano i 10 stampini e si rivestono ciascuno con la parte di frolla, si preme la pasta contro le pareti della formine, si taglia la parte in eccesso che si tiene da parte; si bucherella con i rebbi della forchetta il fondo e si copre con confettura di pere coscia e cannella.
Con la pasta frolla rimasta dai ritagli si assembla e si stende leggermente col mattarello, si ritaglia a piacere per decorare le crostatine. Io le ho decorate con stelline e quadratini utilizzando dei piccoli stampini.
S’informa a forno caldo a 180°C - 190°C per 30-40 minuti. Una volta cotte si lasciano raffreddare prima di sfornarle.










Con questa ricetta partecipo al contest Chi ha rubato la marmellata? del blog Bolli bolli pentolino in collaborazione con l’azienda agricola Poggio del Picchio  







Vorrei dedicare questa ricetta ad Alice Ginevra pensandola tra qualche anno a pasticciare in cucina con la mamma ed il papà.







venerdì 21 ottobre 2011

Schiaffoni al sugo di dentice ed olive verdi

Il dentice è tra i pesci che mi piacciono, ma non preparo spesso perché ogni volta che lo pulisco le grosse squame che lo caratterizzano riempiono il lavello. Pur facendolo pulire al pescivendolo alcune squame rimangono; a casa con cura cerco di toglierle con l’apposito squama pesce e alla fine, ogni volta, ho il lavello della cucina pieno.
A parte questo, è venuto fuori un gustoso sugo per condire gli Schiaffoni.






Ingredienti:
400 g di Schiaffoni o Paccheri
1 dentice di 800 g circa  (preferibilmente squamato ed eviscerato)
300 g di passata di pomodoro
80 g di olive verdi denocciolate
1 scalogno
prezzemolo quantità a piacere
mezzo bicchiere di vino bianco secco
2 mestoli di fumetto di pesce (la testa e la lisca di dentice con carota, sedano, cipolla ed acqua)
olio extra vergine di oliva
peperoncino
sale


Preparazione:
Dopo aver squamato ed eviscerato il dentice, si incide sul dorso con un coltello e si taglia verso l’interno si stacca la spina centrale prima di un filetto poi dell’altro. Si elimina la pelle e si tagliano i filetti a pezzetti piccoli. Con la testa e la lisca si fa un fumetto mettendole nell’acqua con una carota, una testa di sedano e una cipolla, si fa cuocere per 15-20 minuti circa e poi si filtra.
In una padella ampia si fa imbiondire lo scalogno tagliato a pezzetti con l’olio extravergine di oliva ed il peperoncino, si aggiungono i pezzetti di dentice e si scottano per alcuni minuti, si sfuma con il vino bianco, si sala e si uniscono 2 mestoli di fumetto, si fa evaporare per alcuni minuti e si unisce la passata di pomodoro, si continua la cottura a fuoco moderato per 10-15 minuti circa. Poi si uniscono le olive verdi tagliate a rondelle e si lasciano insaporire per 2 minuti.
Una volta cotta la pasta si scola e si unisce alla salsa di dentice, si termina con un filo di olio extra vergine di oliva e una spolverata di prezzemolo tritato.








mercoledì 19 ottobre 2011

Il moussakà tradizionale di Ornella

Dopo la Melitzanosalata e i Koulouria ripieni ho voluto provare un classico della cucina greca il Moussakà tradizionale seguendo, ovviamente, la ricetta di Ornella del blog  Il giardino dei sapori e dei colori.







Ingredienti:
600 g di carne macinata: 400 g di manzo e 200 g di maiale
3-4 patate medie
3 melanzane tonde nere
3 pomodori freschi maturi
1 cipolla
1 spicchio d'aglio
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 foglia di alloro
1 rametto di origano e di timo
2 foglie di menta
alcune foglie di basilico
mezzo cucchiaino di cannella in polvere
mezzo  bicchiere di vino bianco
tre quarti di una tazza da the di olio extravergine di oliva
olio per friggere [io ho utilizzato olio extra vergine di oliva]
sale
pepe


Per la besciamella:
40 g di burro
60 g di farina
mezzo litro di latte
1 uovo grande (la ricetta originale ne prevede 2) [io non l’ho messo]
1 tazza da the di formaggio grattugiato Kefalotiri o Kaseri*
noce moscata grattugiata
sale
pepe


*Ornella ha usato Groviera Mitilini, ma dice che può andar bene anche un pecorino non molto stagionato. Io ho utilizzato la ricotta salata dura.



Preparazione:
Si cuociono a vapore le patate sbucciate; Ornella consiglia di farlo il giorno prima in modo che la fetta rimarrà compatta. Infatti io non l’ho fatto e si sono rotte!
Si trita la cipolla finemente con lo spicchio d'aglio e si mette in una casseruola con l'olio extravergine di oliva, si fa rosolare e si unisce la carne. Si fa cuocere per alcuni miniti e si bagna con il vino bianco e si lascia sfumare. Si tagliano in due i pomodori e con la grattugia si trita la polpa in modo da privarli della buccia (ottimo trucco della suocera di Ornella), si unisce il concentrato di pomodoro e si aggiunge il tutto alla carne. S’insaporisce con le erbe aromatiche (due foglie di menta, qualche rametto di timo e di origano, foglioline di basilico, foglia di alloro) e con la cannella, il sale ed il pepe. Si unisce mezzo litro di acqua calda o brodo vegetale o di carne e si fa cuocere a fuoco moderato per 1-2 ore circa, finché non sarà ben asciutto.

Nel frattempo si tagliano le melanzane a fette e si fa perdere l’acqua di vegetazione. Passato il tempo si passa l’aglio sulle melanzane e si friggono nell'olio extravergine di oliva caldo. Una volta dorate si sgocciolano e si fanno asciugare sulla carta assorbente da cucina o su sacchetto di carta del pane dall’unto in eccesso.

In una casseruola si fa sciogliere il burro si unisce la farina si mescolare e si incorporare un po' alla volta il latte caldo. Quando la salsa è pronta si abbassare la fiamma e si aggiunge il formaggio (io ho utilizzato la ricotta salata), un pizzico di sale, pepe e noce moscata, si amalgama. Poi si unisce l’uovo e si amalgamare bene il tutto. (Io non ho messo l’uovo).

Si unge una pirofila, si dispone un primo strato di patate tagliate a fette, poi lo strato di melanzane, lo strato di ragù, di nuovo uno strato di melanzane, uno strato di ragù e per finire la besciamella. S’inforna a 200° e si fa cuocere finché non si formerà la crosticina. Una volta cotto si lascia riposare per una mezz'ora prima di servire.









lunedì 17 ottobre 2011

Ciceri e tria

Vista dal mare, Otranto appare ancora una fortezza, con i bastioni a picco sull’acqua, ma dietro la vuota abbondanza di mura e torrioni, un prodigio di viuzze bianche in salita, in discesa, di casette bianche, di palazzotti tufacei. In queste viuzze i fatti della storia sono rimbalzati, come pomi maturi, da un secolo all’altro e giunti fino a noi: qui le palle delle bombarde turche, scagliate cinquecento anni fa, reggono i gradini d’accesso delle case o adornano la soglia al “salone” del barbiere, all’ufficio postale, situate ai due lati dell’ingresso.

Maria Corti, L’ora di tutti, Bompiani


 I primi di settembre ho soggiornato per alcuni giorni in Puglia, nel Salento ad Otranto. Ho un legame doppiamente affettivo con la Puglia, perché è la regione di origine dei miei nonni materni e del mio Amore. Della regione “conosco” la parte centro nord, ma la Penisola Salentina non l’avevo ancora visitata, sebbene mi abbia sempre incuriosito per le rinomate spiagge, per i paesaggi mozzafiato, per le città ricche di storia, di arte e di antiche tradizioni come quella di essere stata l’“area elettiva del tarantismo”. Così scriveva l’antropologo Ernesto De Martino nel suo saggio La Terra del rimorso che ha inquadrato il fenomeno storico-religioso e culturale del tarantismo che caratterizzò gran parte dell'Italia meridionale. Il fenomeno è legato al morso di un ragno, la tarantola, che produceva una sorta di “isteria”. Per liberarsi del morso velenoso si praticava una terapia basata su una musica dal ritmo sfrenato, su una danza travolgente e sui colori. Come chiarirà De Martino il morso della taranta più delle volte non era reale, piuttosto rappresentava un simbolo di “liberazione“, un pretesto per liberare le frustrazioni sociali o sessuali o dovute a condizioni familiari difficili.  Non a caso ad essere "pizzicati" erano soprattutto le donne che, in una società patriarcale, molto spesso avevano un ruolo sottomesso. In quella musica e in quella danza liberatoria traevano forza, esprimevano la vitalità del corpo, non erano soggette a regole ed erano protagoniste.


 Tra le città della penisola salentina, la scelta è stata Otranto denominata la “Porta d’Oriente” per la sua posizione più ad est d’Italia, per questo passaggio tra Oriente e Occidente oltre che terra di conquista (che ti conquista).
Otranto si estende ad arco sul canale omonimo. Il borgo antico è circondato da alte mura e bastioni che contengono una fitta rete di vicoli, piccole piazze, scalinate lastricate di pietra con case bianche - alcune hanno vicino ai portoni a mo’ di decorazione antiche palle di granito lanciate dalle catapulte turche -, negozietti e ristoranti caratteristici conducono alla mole del Castello Aragonese proteso verso il mare. Un castello che è stato fonte d'ispirazione del celebre romanzo di Horace Walpole Il castello di Otranto, del 1764, considerato il primo esempio di romanzo gotico. Chi è appassionato come me di Jane Austen ricorderà che è il genere preferito di una sua protagonista Catherine Morland ne L’Abbazia di Northanger. Il Castello quest’anno ospitava alcune sculture bronzee ed incisioni di Salvator Dalì oltre ad istallazioni come quella di Luigi Orione Amato, SITreale. Una fila di sedie impagliate sospese che ornavano la mole del Castello e in alcuni punti sembravano volteggiare nel cielo, con effetto molto suggestivo.
Da amante dell’arte quello che mi incuriosiva di più era vedere finalmente dal vivo il meraviglioso e misterioso mosaico pavimentale della Cattedrale romanica della Santissima Annunziata. Un tronco di Albero che si sviluppa su tutta la navata centrale e si ripete in forma più piccola nelle navate del transetto. Tra i rami come una sorta d’enciclopedia illustrata compaiono: segni zodiacali, scene bibliche e mitologiche; personaggi come Re Artù e Carlo Magno, piante e animali fantastici tra cui anche un gatto che nelle zampe di sinistra calza degli stivaletti. Secondo alcune interpretazioni sarebbe una sorta d’antenato della popolare fiaba di Charles Perrault il Gatto con gli stivali.
La Cattedrale è legata anche ad un evento tragico il massacro avvenuto nel 1480 ad opera dei turchi. Furono decapitati ottocento otrantini, le loro ossa sono conservate in sette armadi a vetro nella cappella di destra, la Cappella dei Martiri. Alla loro storia ha dato voce Maria Corti nel bel romanzo L’ora di tutti.
Molto suggestiva è stata anche la Festa della Madonna dell'Altomare protettrice dei marinai, dei pescatori e di chi va in mare. La statua ottocentesca della Madonna è collocata su un peschereccio ed è seguita da altre imbarcazioni in processione; si getta una corona d'alloro in mare per ricordare tutti quelli che vi hanno perso la vita. Questa festa è molto sentita dagli otrantini.
Oltre alla bellezza del paesaggio sia diurno che notturno, del colore del mare di un azzurro verde che vira al blu, di una spiaggia con la sabbia bianca molto fine, alla storia, all’arte, alle feste tradizionali ho avuto modo di gustare la cucina salentina povera e ricca allo stesso tempo. Povera e semplice nell’uso delle materie prime, ma ricche di sapore, di odori e di storia come il piatto che oggi propongo Ciceri e trie; da ammiratrice degli usi e tradizioni non potevo che scegliere uno dei piatti che ben rappresenta il forte legame dei pugliesi alla propria tradizione e ai prodotti del territorio.





Ciceri e trie è considerato, insieme a piatti simili del Sud, uno degli esempi di archeologia gastronomica italiana. Sembra, infatti, che Orazio nelle Satire si riferisce a questa tipologia di piatti, quando racconta che dopo aver passeggiato nel foro l’aspettava a casa “una scodella di porri, ceci e lagane”.  Per i latini e i greci le lagane (laganum e làganon) equivalevano ad una sfoglia fresca ottenuta impastando acqua e farina, si potrebbe dire un’antenata della pasta sfoglia, tagliata a strisce.
Nel Salento nei secoli successi la parola lagane è stata accomunata con la parola tria che deriva dalla parola araba itrya vale a dire pasta secca o pasta fritta. Da qui l’essenza del piatto: ceci con pasta di semola di grano duro fatta a mano tagliata a strisce, una parte sono fritte in olio extra vergine di oliva, mentre il resto si cuoce come di consueto in abbondante acqua salata.
Questo piatto in particolare nella provincia di Lecce ha anche un valore “solenne”, è la principale portata che viene servita durante la festa di San Giuseppe Patriarca, dove tradizionalmente si allestiscono grandi tavolate. Nei periodi di guerra e di ristrettezza i bambini e gli adulti più poveri aspettavano con piacere questa festa per poter mangiare. Giravano per il paese con scodelle e un cucchiaio, facendo chiasso e cantando, bussavano di casa in casa per farsele riempire e mangiavano lungo i bordi delle strade. Lo scopo della festa era quello di dare da mangiare a tutti.





Come tutte le ricette tradizionali ci sono varie versioni da paese a paese da casa a casa. Questa è quella che mi hanno indicato.

Ingredienti

Per la pasta:
300 g di semola di grano duro
100 ml di acqua ca (1 bicchiere)


Per il condimento:
200 di ceci secchi
1 cipolla piccola
1 costa di sedano
2 spicchi di aglio
2 cucchiai di passata di pomodoro
2 foglie di alloro
rametto di rosmarino
olio extra vergine di oliva
peperoncino quantità a piacere
sale


Preparazione:
Il giorno prima si mettano a bagno i ceci in acqua fredda e un cucchiaino di bicarbonato. Il giorno seguente si mettano in una pentola,  meglio di terracotta, ricoperti di acqua fredda, si aggiunge uno spicchio d’aglio, cipolla, sedano, foglie di alloro, rametto di rosmarino e si lascino cuocere per 2 ore circa fin quando diventano teneri.

Nel frattempo si prepara la pasta. Si versa la farina a fontana, si aggiunge un po’ per volta l’acqua, si lavora fino ad ottenere un impasto morbido ed elastico. Si lascia riposare per mezz’ora coperto, poi si stende con l’aiuto di un mattarello una sfoglia non sottile. Si taglia a strisce di 1 cm 1,5 circa e si lascia riposare.



Una parte delle strisce si frigge in olio extra vergine di oliva, si scolano per eliminare l’olio in eccesso. Il restante delle strisce si cuociono in acqua calda salata,  prima di versare la pasta si aggiunge un po’ di olio per non farla attaccare. Si fa cuocere per alcuni minuti deve rimanere al dente, si scola e si conserva una parte dell’acqua di cottura.

In una padella si fa imbiondire l’aglio tagliato a pezzetti con un po’ di peperoncino, si aggiunge la passata di pomodoro si sala e si fa cuocere per alcuni minuti.
Si prende un mestolo di ceci si passano nel passaverdura, si versa la poltiglia e si lascia insaporire, si aggiungono gli altri ceci interi e parte della loro acqua di cottura si fanno cuocere per alcuni minuti.
Si aggiunge la pasta appena cotta, la pasta fritta con il suo olio di frittura e l’acqua di cottura conservata, si fa mantecare per alcuni minuti, si aggiunge il peperoncino e un filo di olio extra vergine di oliva. Si lascia riposare per alcuni minuti coperto prima di servirle.










Con questa ricetta partecipo al contest La pasta fatta in casa del blog di Natalia Fusilli al tegamino








E al contest Pronti per ricominciare? del blog di Fabiola Olio e Aceto






E al contest A cena con Julie e Marek: Zuppe e minestre del blog Menta Piperita & Co.








Il piatto è tra i vincitori.








Grazie!

venerdì 14 ottobre 2011

Tortina con uva fragola

Una tortina con la buonissima uva fragola proveniente da alcuni filari di vite di mio zio. Per l’esecuzione ho seguito liberamente questa ricetta.









Ingredienti:
150 g di farina 00
75 g di  zucchero semolato
2 uova
olio di semi di girasole la metà scarsa di un bicchiere
la scorza grattugiata di un limone possibilmente biologico
mezza bustina di lievito vanigliato
1 grappolo di uva fragola
zucchero semolato per gli acini d’uva e la superficie della tortina q.b.
zucchero a velo q.b.



Preparazione:
Si lavorano le uova con lo zucchero, si unisce la scorza di limone, l’olio, la farina setacciata e il lievito. Si amalgama il tutto fino ad ottenere un composto cremoso. Si imburra e s’infarina lo stampo si versa parte del composto si uniscono alcuni acini di uva lavati asciugati e passati nello zucchero semolato, si versa altro composto e si uniscono altri acini di uva. Si cosparge la superficie con lo zucchero semolato e si inforna nel forno preriscaldato a 180° C per 40-50 minuti, dipende dal forno, fino a quando risulterà asciutta facendo la prova stecchino. Si lascia raffreddare, una volta fredda si spolvera con lo zucchero a velo e a piacere si aggiungono gli acini di uva passati allo zucchero a velo.









mercoledì 12 ottobre 2011

Mezze maniche con fagioli corallo e pesto aromatico

A Roma sono chiamati fagioli o fagiolini a corallo in altre parti d’Italia taccole. Questa differenza me l’ha fatta ben notare il mio fruttivendolo tempo fa. Gli chiesi di farmi 1 kg di taccole mi guardò in modo strano e mi disse “Ma che so’?”; l’indicai come fanno i bambini -non mi veniva fagioli a corallo- e lui mi risposte “Ma tu non sei romana!”. Da allora ogni volta che li prendo specifico che voglio i fagioli corallo.
Ho pensato di abbinarli ad un pesto aromatico di menta, basilico, mandorle e zenzero per condire la pasta, le mezze maniche.








Ingredienti:
380 g di mezze maniche rigate
200 g di fagioli a corallo o taccole
50 g di mandorle
50 g di ricotta dura salata
1 ciuffo di basilico
1 ciuffo di menta
1 spicchio di aglio
1 cucchiaino di zenzero in polvere
olio extra vergine di oliva
sale
pepe


Preparazione:
Dopo aver lavato e asciugato il basilico e la menta si mettono nel mixer con lo spicchio di aglio e le mandorle; si frulla unendo man mano l’olio extra vergine di oliva fino ad ottenere una salsa cremosa.
Si mondano i fagioli corallo eliminando le estremità, si lavano per bene e si fanno bollire in acqua calda leggermente salata per 10 minuti.
Si cuoce la pasta, si scola conservando un po’ di acqua di cottura (si aggiunge nel caso dovesse essere troppa asciutta), si trasferisce in una zuppiera, si condisce con il pesto, i fagioli corallo tagliati a pezzetti, parte della ricotta salata grattugiata, una spolverata di pepe e di zenzero.
S’impiatta si aggiunge un filo di olio, una spolverata di ricotta salata e un pizzico di zenzero.










Con questa ricetta partecipo al contest  Che Pesto ti frulla? dei blog  Dolcezze di Nonna Papera,  Dolcipensieri e  MyRicettarium 







Con questa ricetta partecipo al contest del blog La stufa economica, Spezie ed erbe aromatiche














lunedì 10 ottobre 2011

Tartellette rovesciate con cipolla rossa di Tropea, Pecorino della Sabina e barbe di finocchio

Per queste tartellette rovesciate ho pensato di abbinare alla dolcezza della cipolla di Tropea il sapore sapido e leggermente piccante di un prodotto tradizionale della regione Lazio il Pecorino della Sabina e il sapore aromatico e delicato delle barbe di finocchio.   






Ingredienti per due tartellette:

Per la Pasta brisée:
100 g di farina 00 
50 g di burro a pezzetti    
25 ml di acqua fredda  
pizzico di sale


Per il ripieno:
1 cipolla rossa di Tropea
25 g di burro
1 cucchiaino di zucchero
1 cucchiaino di aceto balsamico
scaglie di Pecorino della Sabina stagionatura 6 mesi (o a piacere altri formaggi semistagionati)
barbe di finocchio
farina 00 q.b.
sale
pepe nero


Preparazione:
In un recipiente si setaccia la farina si aggiunge il burro appena tolto dal frigo tagliato a pezzetti. Si lavora brevemente fino ad ottenere un composto granuloso, si aggiunge l’acqua fredda e il pizzico di sale si lavora con la punte delle dita fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo. Si forma una palla, si avvolge in una pellicola trasparente e si mette in frigo per 30 minuti.
Nel frattempo in una padella si fa fondere il burro e lo zucchero, si aggiunge la cipolla tagliata a fettine si lascia cuocere per cinque minuti girando spesso, poi si aggiunge l’aceto balsamico il sale, il pepe e alcune barbe di finocchio si continua la cottura per altri 5 minuti circa.






Sulla spianatoia infarinata si stende un disco di pasta brisée leggermente più grande degli stampini. Si passa il burro sugli stampini e si versa una parte delle cipolle, si adagia sopra il disco di pasta brisée e si pressa bene sui bordi per sigillarli.
Si inforna a 180°C per 30-40 minuti circa, finché la superficie della pasta sarà dorata. Una volta cotta si estrae dal forno si lascia leggermente intiepidire e si rovescia su un piatto da portata, si aggiungono scaglie di Pecorino della Sabina o altri formaggi semistagionati e si guarnisce con le barbe di finocchio.















Con questa ricetta partecipo al contest Crostate e Crostatine salate del blog … la Cultura del Frumento del Molino Chiavazza.









giovedì 6 ottobre 2011

"Quanti modi di fare e rifare..." i Koulouria ripieni


Questo mese è stata scelta per l’iniziativa Quanti modi di fare e rifare... una ricetta di Ornella i Koulouria ripieni, vale a dire anelli di pasta di pane ricoperti di semi di sesamo croccanti fuori e morbidi dentro (in questo caso ripieni), che sono venduti in Grecia come cibo di strada dagli ambulanti.
Dalle notizie che ho trovato girovagando in internet, sembra che il koulouri (singolare di koulouria) sia un pane molto antico, diffuso ed esportato anche al di fuori della Grecia. Già nell’antichità era presente un pane circolare di farina d’orzo dal nome kollyrio. Durante il periodo bizantino e ottomano era possibile trovarlo come cibo di strada anche a  Costantinopoli. Secondo Evliya Celebi un viaggiatore-scrittore ottomano del XVII secolo, nella metà del XVI secolo erano presenti ad Instabul molte panetterie che producevano questa tipologia di pane col nome di Simit (come è conosciuto ancora oggi). Sembra che i Koulouria siano stati reintrodotti in Grecia nel primo ventennio del Novecento, dopo la guerra greco-turca, grazie ai profughi di origine greca provenienti da Instabul e dall’Asia Minore che si stabilirono nei dintorni di Salonicco, tanto che sono conosciuti anche come koulouria Thessalonikis.

Veniamo alla mia realizzazione… Invece che la caratteristica forma ad anello mi è venuta una sorta di pagnottina, il buco è quasi scomparso. E’ il caso di dire che non tutti i Koulouria riescono con il buco. Nonostante la forma lasci a desiderare, posso assicurare che erano buoni.






Ingredienti per l’impasto:
Entro parentisi quadre le mie varianti


350 g di farina (10,7% di proteine)  [250 g di farina Manitoba e 100 g di farina 0]
200 g di latte   
6 g di lievito di birra                         
2 cucchiaini di sale                           
2 cucchiai olio di semi (avevo mais)    [olio extra vergine di oliva]
semi di sesamo q. b.



Preparazione:
In un pentolino si fa intiepidire il latte, si versa in un bicchiere e si sbriciola il lievito, si mescola e si fa sciogliere completamente per 5 minuti circa.
In una ciotola capiente si versa la farina setacciata, il lievito disciolto e si inizia ad amalgamare, poi si aggiunge l'olio ed il sale. Si lavora fino a quando tutti i liquidi saranno ben amalgamati.
Si prende l'impasto e si comincia a lavorare energicamente sulla spianatoia infarinata per 15-20 minuti fino ad avere un composto consistente morbido ed elastico. Si dà la forma di una palla e si mette in una capiente ciotola si copre con un panno. Si lascia a lievitare nel forno spento per 2 ore circa, fino a quando raddoppia il volume.
Si divide l’impasto in panetti e con l’aiuto di un mattarello si formano delle lingue di pasta. Si iniziano a farcire come si preferisce. Io ho fatto due ripieni:



 Pomodorini ciliegino, alici sott’olio, olive Kalamata e origano




pomodorini ciliegino
filetti di alici sott’olio
olive Kalamata a piacere
origano



Stracchino, cipolla rossa e olive taggiasche



100 g di stracchino
olive taggiasche a piacere
1 cipolla rossa
origano
pepe nero





Si arrotolano le lingue di pasta formando un cordoncino, si sigilla e si chiude ad anello. Si passano velocemente nell’acqua e poi nel sesamo. Si dispongono su una teglia ricoperta di carta forno e con una forbice da cucina si tagliano i bordi (io mi sono dimenticata) e si lascia lievitare coperti per un'ora circa. S’inforna a forno ben caldo a 200°C per 25-30 minuti.























Quanti modi di fare e rifare...


Appuntamento al 6 Novembre con
di Dauly del blog Cucchiaio e Pentolone






martedì 4 ottobre 2011

Ossibuchi di tacchino

Un secondo di carne leggero e gustoso.







1 Kg di ossibuchi di tacchino
2 coste di sedano
1 carota grande
1 cipolla dorata
alcune foglia di salvia
1 bicchiere di vino bianco secco
brodo vegetale
farina 0 q.b.
olio extra vergine di oliva
sale
pepe nero


Preparazione:
S'infarinano per bene gli ossibuchi, si mettono in un’ampia padella con olio extra vergine di oliva e alcune foglie di salvia, si fanno dorare; una volta formata la crosticina dorata si tolgono dalla padella e si mettono da parte.
Nella padella dove si sono dorati gli ossibuchi, si mette un trito di carota, sedano e cipolla si fa cuocere a fuoco moderato per alcuni minuti. Poi si uniscono gli ossibuchi dorati, si sfuma con il vino bianco, si sala, si pepa e si aggiungono due mestoli di brodo vegetale (io ho versato due cucchiaini del mio Pesto di odori  in acqua calda). Si copre con un coperchio e si lascia cuocere a fuoco moderato per circa 1 ora.  Una volta cotti s’impiatta con il loro sughetto e si servono caldi.